a cura di Federica Ciavattini e Manuel Orazi
Non sono molti gli architetti che possono vantare una carriera durevole e così estesa in ogni ambito professionale, spaziando in tutte e cinque le province marchigiane dalla montagna alla costa adriatica, dal dopoguerra ad oggi. Anzi a pensarci bene solo Paolo Castelli corrisponde a questo profilo: nato a Camerino nel 1924, studente di architettura alla Sapienza durante e subito dopo la Seconda guerra mondiale – dove dopo l’8 settembre 1943 gli capitò di poterci andare solo in bicicletta, come narrato in uno dei suoi numerosi quaderni autobiografici e stampati in proprio nell’ultimo decennio. Castelli è però soprattutto il fondatore, con altri compagni di viaggio, del Gruppo Marche, lo studio di progettazione tuttora attivo che ha realizzato un numero considerevole di opere soprattutto pubbliche e di piani urbanistici nella nostra regione tanto da divenire un punto di riferimento del modernismo in particolare nella provincia di Macerata.
A proposito di Wright, nel 1945 Bruno Zevi pubblicava da Einaudi Verso un’architettura organica. Che cosa ha significato per lei?Quando il libro uscì io ero al III-IV anno e mi ha provocato una grande apertura mentale anche perché aveva in copertina la Casa sulla cascata, un capolavoro che ho sempre amato molto.
Ha conosciuto Zevi personalmente? All’epoca rivestiva un ruolo fondamentale per la rinascita della cultura civile e architettonica italiane, specie a Roma…Sì, Quaroni nel ’48 me lo presentò portandomi a casa sua dove ci lesse degli estratti della Storia dell’architettura moderna che Einaudi stava per pubblicare di lì a poco, una lettura emozionante. A questo seguì da parte mia l’invio dei miei progetti alla redazione della rivista che ha sempre diretto “L’Architettura. Cronache e storia”. Tra i diversi che pubblicarono ad esempio ci fu il Monumento alla Resistenza di Macerata.La sua amicizia con Quaroni è stata durevole?
Direi di sì, ho rivisto Quaroni in diverse occasioni, una volta in Ancona dove esponeva il PRG della città e ne approfittai per mostrargli il progetto di Casa Salvia a Macerata che gli piacque molto. Poi lo rincontrai a un convegno sulle chiese dove ebbi l’occasione di cenare con lui insieme al mio socio Luigi Cristini.Qual è stato il suo rapporto con la politica?Nel 1948, appena laureato, presi la tessera del PSDI a Camerino perché se non avessi aderito a un partito non avrei avuto la possibilità di parlare di urbanistica con le istituzioni. All’epoca tutti i partiti erano diffidenti verso i professionisti, si sentivano come minacciati perché potevano mettere in discussione le loro scelte come in effetti è avvenuto più volte. Solo molti anni dopo, più o meno dagli anni settanta, i professionisti si iscrivevano ai partiti soprattutto per avere incarichi diretti. Ricordo invece che prima le discussioni erano di grande livello e miravano a obiettivi più ampi. Ad esempio quando venne presentato il secondo PRG di Macerata di Luigi Piccinato, io e il mio socio Cristini infiammammo un grande dibattito in seguito alla nostra proposta di una nuova strada a nord della città che la alleggerisse dal traffico pesante, che in una certa misura era critica verso il suo piano e infatti divise tutte le forze politiche a più riprese tanto che oggi è una delle grandi opere incompiute della città. All’epoca si disse che non si sarebbe potuto aprire una galleria sotto il quartiere Pace, che sarebbe stato troppo pericoloso, mentre poi si è visto che aprire una galleria era più che possibile visto che è stata infatti realizzata ma solo per raggiungere il palazzetto dello sport, senza deviare effettivamente il traffico in maniera massiccia. Nel mio caso la pianificazione urbanistica occupava anche più della metà della mia professione, un’attività fondamentale per me. I PRG a cui sono più legato sono quelli di Treia, Pollenza e Montecassiano perché si reggevano sul principio di una visione organica cioè d’insieme, grazie anche al fatto che si tratta di tre comuni confinanti tra loro. Non ha senso infatti studiare un piano per ogni piccolo comune.Ci descriva meglio il Gruppo Marche, a chi si sentiva più vicino?
Con l’architetto Cristini c’è stata collaborazione su tutto. Lui era democristiano, io no ma non per questo abbiamo avuto particolari contrasti. Tipo strano, lasciò la facoltà d’ingegneria per laurearsi in architettura. È un uomo di idee ma poco pratico così nel lavoro subentravo io che sono più lungimirante nel terminare le cose. Con lui ho sempre collaborato bene, una delle opere meglio riuscite è sicuramente la chiesa di Casette Verdini. Solo nel caso di un albergo costruito a Senigallia, il risultato non è stato dei migliori perché nella progettazione c’era anche un terzo architetto e unire le idee di tre persone troppo diverse non produsse un buon risultato. Un altro lavoro seguito insieme fu il progetto dell’asilo nido tipo per la Regione Marche. La condizione di ripetibilità richiesta contrastava con la mia visione dell’architettura, quella cioè che vede nel suo ambiente un elemento determinante, per cui ho risolto il problema facendo un oggetto variabile, adattabile al terreno e non troppo complicato. Da Le Corbusier ho ripreso il principio della scatola su pilotis, riconducendo la forma dell’edificio ad una scatola posata su dei cerini: in tal modo se il terreno era scosceso si poteva regolare la lunghezza dei cerini/ pilotis adattando così la scatola al terreno. In tutta la regione di questi asili ne furono realizzati circa una ventina, non tutti come avremmo voluto noi: per esempio a volte limitarono l’uso dei grandi oblò in plastica con cui i bambini si divertivano un mondo perché erroneamente ritenuti pericolosi.
Un altro suo tema di progettazione ricorrente è stato quello sugli ospedali.
Sì, in particolare con il Gruppo Marche, spesso questi incarichi nascevano come corollario a studi urbanistici perché ovviamente gli ospedali hanno una forte ricaduta sui territori circostanti non solo sul piano della circolazione stradale. Ricordo i progetti di Pergola, San Severino Marche, Fabriano, Macerata e altri, non tutti realizzati. Per questo fui anche chiamato per fare insieme con Paola Salmoni uno studio di massima per migliorare l’ospedale regionale di Ancona, cercando di sfoltire le sue funzioni e renderlo così più piccolo e razionale. Purtroppo non riuscimmo a realizzarlo.
Lei si è iscritto a Italia Nostra quando era presidente Giorgio Bassani, uno dei maggiori scrittori del Novecento italiano, quali battaglie avete portato avanti?
Io ne ho fatte tante… Comunque essendo stato sempre un appassionato di paesaggio mi ritrovavo perfettamente nella visione di Italia Nostra, ancora oggi disegno acquarelli di paesaggi. Io credo che la casa sia un tutt’uno con l’ambiente circostante, per cui se l’ambiente ha un valore allora anche l’architettura sarà di valore. Ad esempio seguendo questo principio, fondai sull’idea di hortus conclusus il progetto della chiesa di Casette Verdini (1971), una frazione di Pollenza. Lavorai al progetto con il mio socio Cristini e per ovviare alla visione dell’antiestetico ambiente periferico dove era stata prevista la chiesa, decidemmo di circondarla da un muro. Con Bassani invece partecipai ad esempio a un convegno tenutosi a Montefortino per proporre di istituire il Parco dei Sibillini, un consorzio di comuni sul modello esistente del Parco del Conero che Bassani già conosceva. Il parco poi è stato istituito e oggi è uno dei fiori all’occhiello delle province di Fermo e Macerata.
Ha avuto mai occasione di occuparsi di design?
Non molto, però ho disegnato una macchina da caffè per la Nuova Simonelli di Belforte del Chienti e da giovane persino una radio a transistor.
Tra tutte queste attività sembra esserle mancato solo l’insegnamento…
No, ho anche insegnato ma solo per un breve periodo, tra il ’48 e il ’50, nell’istituto tecnico di Macerata e di Camerino.
Tra i suoi molti progetti, uno dei più arditi è secondo noi l’edificio polifunzionale di Civitanova Marche, posto tra la ferrovia e il cavalcavia che porta in centro, a ridosso dell’ex area industriale Cecchetti, e in grado di ospitare più di una funzione senza temere uno sviluppo decisamente verticale sullo snodo urbano principale di quella città.
Si tratta di un progetto bipartito: la parte superiore fu sviluppata da Romano Pellei e quella inferiore da me, due progetti separati amalgamati solo alla fine. Poi abbiamo seguito anche la lottizzazione privata che ne era la logica conseguenza ma che solo anni dopo e in seguito a varie vicissitudini Vittorio Gregotti ha infine realizzato.
Lei ancora si reca in studio oggi portato avanti da suo figlio Alessandro: qual è la sua visione del ruolo dell’architetto che si sente di consegnare alle future generazioni?
Io credo che l’architetto debba sempre avere l’ultima parola perché la sua professione non è quella dell’avvocato, non dev’essere il servo sciocco del cliente. L’architetto lavora sempre per la collettività, anche quando lavora per il privato, per questo deve difendere i propri principi. Modifica il mondo e dunque deve imporre la sua linea. Per far questo ed essere coerente mi è capitato di dover rinunciare a più di un incarico in cui il cliente voleva a tutti i costi condizionare negativamente il progetto, e ne vado fiero.
Non sono molti gli architetti che possono vantare una carriera durevole e così estesa in ogni ambito professionale, spaziando in tutte e cinque le province marchigiane dalla montagna alla costa adriatica, dal dopoguerra ad oggi. Anzi a pensarci bene solo Paolo Castelli corrisponde a questo profilo: nato a Camerino nel 1924, studente di architettura alla Sapienza durante e subito dopo la Seconda guerra mondiale – dove dopo l’8 settembre 1943 gli capitò di poterci andare solo in bicicletta, come narrato in uno dei suoi numerosi quaderni autobiografici e stampati in proprio nell’ultimo decennio. Castelli è però soprattutto il fondatore, con altri compagni di viaggio, del Gruppo Marche, lo studio di progettazione tuttora attivo che ha realizzato un numero considerevole di opere soprattutto pubbliche e di piani urbanistici nella nostra regione tanto da divenire un punto di riferimento del modernismo in particolare nella provincia di Macerata.